martedì 27 gennaio 2015

VOLEVA SOLO ALLENARE .

Nello sport degli anni 20 e 30 c'è una storia riconducibile al 27 gennaio , quando mi ci sono imbattuto  ho capito che si trattasse di qualcosa a dir poco crudele.
Mi duole parlarne perché il finale è come mi attendevo , nessun colpo di scena , l'orrore prende il sopravvento sulla vita , il pensiero corre poi ai nostri giorni e nulla sembra cambiato se non una maggiore crudeltà da parte di chi predica odio .
Conosco l'autore del libro e so come tenga alla ricerca, i particolari fanno da sfondo a una pazzia della mente umana più malata .
Se quel giorno di dicembre dello scorso anno fossi uscito invece di mettermi a leggere ne avrei guadagnato in salute , ma amo sapere .

Non lo sapeva nemmeno Enzo Biagi, bolognese e tifoso del Bologna. «Mi sembra si chiamasse  Weisz, era molto bravo ma anche ebreo e chi sa come è finito», ha scritto in "Novant'anni di emozioni". 
E' finito ad Auschwitz, è morto la mattina del 31 gennaio '44. Il 5 ottobre del '42 erano entrati nella  camera a gas sua moglie Elena e i suoi figli Roberto e Clara, 12 e 8 anni.Questa è la risposta,  documentata, di Matteo Marani, bolognese, laureato in Storia (e questo spiega qualcosa). Gli ci  sono voluti tre anni di ricerca, scrupolosa e insieme ossessiva, perché gli pareva di inseguire un  fantasma. Ed ora questo libro: "Dallo scudetto ad Auschwitz" (ed. Aliberti), preciso come una banca  svizzera, dolente come una cicatrice. Ho idea che Marani abbia sentito le voci nel vento, per dirla con Guccini, bolognese d'adozione. Forse lo ha spinto una coincidenza: abita a meno di 300 metri da  dove abitava Weisz. Certamente lo ha sorretto una volontà da detective della memoria.
E così 
dai registri di classe del '38, ritrovati in uno scantinato, è arrivato a conoscere uno degli amici del  piccolo Weisz, un amico vero che per tutti questi anni aveva conservato lettere e cartoline che gli  arrivavano dalla Francia, dall'Olanda, da dove i Weisz cercavano di sottrarsi ai cacciatori dopo che il Bologna aveva licenziato il suo tecnico in omaggio alle leggi razziali. 
 
Arpad Weisz era stato un ottimo giocatore, ala sinistra. Nell'Olimpica ungherese del '24 fa coppia  con Hirzer, la Gazzella, che sarebbe stato il primo straniero alla corte degli Agnelli. 
Gioca nel Padova (poco), nell'Inter, ma un infortunio serio lo porta sulla panchina nerazzurra come  tecnico. È lui a lanciare in prima squadra Peppino Meazza, a 17 anni, lui ad allenarlo 
individualmente, al muro, perché abbia la stessa padronanza dei due piedi, è lui a vincere lo scudetto del '30, sempre lui a scrivere, a quattro mani col dirigente Aldo Molinari, il manuale "Il giuoco del  calcio", con prefazione di Vittorio Pozzo che non era l'ultimo arrivato. Ancora lui a importare in  Italia il sistema di Chapman, a sperimentare i ritiri (in località termali), ad allenarsi in braghe corte insieme ai giocatori, quando le foto di Carcano (famoso quinquennio juventino) lo mostrano in giacca e cravatta. Gli allenamenti si dirigevano, non si facevano. "Il mago" lo chiama "Calcio illustrato". 
Col Bologna «che tremare il mondo fa» vince due scudetti consecutivi. È il tempo di Schiavio, di  Monzeglio che insegna il tennis ai figli di Mussolini, dell'uruguagio Sansone che sposa la cassiera  del bar Centrale, di Fedullo, di Fiorini detto il Conte Spazzola che muore nel '44 sotto una raffica dei partigiani, e ancora di Ceresoli, di Biavati che esegue il doppio passo e poi crossa al bacio per Puricelli detto Testina d' oro. Al Littoriale, Weisz chiede un'equipe fissa di giardinieri per il prato, un laboratorio medico-dietetico. Nella finale del Trofeo dell' Esposizione, a Parigi, il Bologna batte 4-1 i maestri del Chelsea.
Ma il cerchio intanto si stringe intorno a una famiglia felice. Il figlio non può iscriversi a scuola. Il 
padre non può allenare. Il Bologna lo licenzia a fine ottobre del '38, dopo un 2-0 alla Lazio. Al suo  posto l'austriaco Felsner. La famiglia Weisz lascia Bologna in treno, direzione Parigi. La speranza è di trovare un lavoro. Tre mesi trascorsi in albergo indeboliscono le finanze e non danno risultati. Si  punta sull'Olanda, Dordrecht. Città piccola, squadra semidilettantistica, ma con Weisz in panchina batterà più d'una volta il grande Feyenoord. Ma anche in Olanda, paese con un tasso altissimo di  collaborazionismo, si stringe il cerchio.



MATTEO MARANI
Dallo scudetto ad Auschwitz
Vita e morte di Arpad Weisz, allenatore ebreo

Aliberti, 2007
pp. 208

(Fonte : storiedicalcio.altevista.org)

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