lunedì 22 settembre 2014

RINCHIUSI IN UN BICCHIERE .

Come non parlare della «Nek nomination». Va di «moda» su Facebook. Bevi il più possibile. Intanto qualcuno ti filma con il telefonino. Così puoi pubblicare il video sul tuo profilo. Un’emergenza sociale, insomma. Anche se i giovani italiani restano sotto la media europea. L’Est e la Scandinavia sono lontani. Però, spiega il ministero della Salute, da noi «si consolidano i nuovi comportamenti di consumo più vicini alle culture prevalenti nel Nord Europa». Che vuol dire sempre meno vino - «tipico della nostra tradizione» - e sempre più bevande ad altissima gradazione, sempre più fuori dai pasti e sempre più concentrati nel tempo.
Ci sono alcuni elementi confortanti nell’ultima relazione sull’uso di alcol emanata dal Ministero della Salute. Il più sensibile è che l’Italia è capofila nella percezione del problema: i nostri giovani hanno, rispetto ai coetanei europei tra i 15 e i 24 anni, un’ottima consapevolezza del rischio legato all’uso occasionale di alcol. Il 41% lo considera un pericolo medio-alto, mentre la media continentale si ferma al 26. Un primato da non sottovalutare. Insomma, le buone intenzioni ci sono, ma come si sa di buone intenzioni le vie dell’inferno sono ampiamente lastricate. E infatti, pur rimanendo (ma non di molto) sotto il livello europeo anche nei fatti, il problema purtroppo esiste, se è vero che il 9% degli italiani sotto i trent’anni sono utenti dei servizi per l’alcoldipendenza. Uno su dieci. Mica poco.
Il fatto è che la bevuta nelle sue varie forme, lieve sbornia o sballo da ubriacatura, alcolismo regolare o occasionale (fino al cosiddetto binge drinking), viene avvertita dai più (genitori compresi) come un’infrazione meno allarmante di altre: droghe di vario genere, per esempio. Mentre già per lo spinello le soglie di attenzione sociale e familiare sono altissime, si è disposti a chiudere un occhio per il classico bicchiere in più, quasi si trattasse di un peccato veniale (certo, può esserlo), di una trasgressione che non comporta assuefazione e dipendenza. Uscendo dai confronti con gli altri Paesi e quindi dai dati relativi, sapere che un ragazzo su cinque nell’ultimo mese ha alzato il gomito (tecnicamente binge drinking significa aver consumato in brevissimo tempo almeno sei «porzioni» alcoliche o superalcoliche) è in sé spaventoso.
In una metropoli di 5 milioni di abitanti, compresi hinterland e litorale, ci sono emergenze uniche: il Concertone del Primo maggio, le feste di Capodanno («Le chiamate passano dalle quotidiane 3mila a quasi 9mila, e sono quasi tutte per alcol», rivela De Angelis), appuntamenti musicali che richiamano gente da tutta Italia. Ma è nel weekend che la radio delle ambulanze gracchia di continuo: per il ragazzino svenuto davanti agli amici fuori dalla discoteca, per l’adolescente che vomita e non si riprende. «Volevo far colpo su un’amica di mia sorella», ammette un diciassettenne pallido come un cencio, seduto sulla panca della sala d’attesa. Dopo un paio d’ore di flebo per il ricambio dei liquidi è pronto per essere riportato a casa dai genitori. Quando si presentano, lo rimproverano. «Senti che dice il medico? Lo senti? Piantala di fare il cretino e smetti di bere», gli grida la madre. «Il problema è che spesso a casa nessuno controlla questi ragazzi. E lo stesso succede con le ragazze - ammonisce Franceschi -, se non altro perché reggono meno l’alcol per questioni genetiche». Ai più bastano poche ore per riprendersi. «Noi spesso preferiamo non appesantire gli ospedali e li assistiamo sul posto», ricorda il capo del 118. E la notte successiva ricomincia tutto come prima.

( fonte : corriere .it))
Forse una breve riflessione sarebbe opportuna per non vivere solo di silenzi e apparenze . Dialogate dialogare dialogate . 






Nessun commento:

Posta un commento